Venezia 76, “Citizen Rosi”: tutta la potenza del cinema

Un documentario potente, splendido nella confezione, meraviglioso nel contenuto. “Citizen Rosi”, evento fuori concorso della 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è un’opera che si conficca nella mente, squarcia il petto. Perché racconta l’arte di uno dei più grandi registi della storia: Francesco Rosi. A raccontare il suo modo di intendere il cinema, il suo l’impegno civile e politico, c’è la figlia Carolina  – che ne firma la regia con Didi Gnocchi ed è voce narrante – che tra immagini di repertorio, spezzoni di pellicole e dietro le quinte, riesce nell’intento di emozionare chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e affascinare le giovani generazioni.

«Abbiamo rivisto tutta l’opera di mio padre – ha spiegato in conferenza stampa – e ci siamo chiesti se era davvero cambiato qualcosa negli anni. Per vedere se c’era stata una trasformazione della società abbiamo avuto l’onore di ospitare interlocutori come giornalisti e magistrati che con testimonianze ed analisi raccontano quanto accaduto da quei film al presente».  L’idea venne a Franco – così lo chiamava sua figlia – che accese la telecamera per riprendere le riflessioni con la figlia mentre sul divano di casa guardavano quei film e discutevano su come andava costruito il documentario. Tutto fuorché una auto celebrazione, ci teneva a sottolineare Rosi senior. A queste immagini, si intrecciano quelle di Carolina oggi, a oltre 4 anni dalla morte del padre, che riprende il discorso iniziato con lui per completare il lavoro. E lo fa scavando nell’archivio, tra le foto private, ai ritagli di giornale.

Ha raccontato mezzo secolo del nostro Paese tra corruzione e criminalità con “Salvatore Giuliano”, “Lucky Luciano”, “La sfida”, “Il caso Mattei”, “Le mani sulla città”, “Cristo si è fermato ad Eboli”, “Cadaveri eccellenti”, “Tre fratelli” – che vengono analizzati nel documentario in base alla cronologia degli eventi che racconta e non nell’ordine in cui sono stati girati – sempre con l’obiettivo di far riflettere. Aveva la sua idea, ma non la imponeva allo spettatore, gli poneva davanti i fatti così come erano. «Il lavoro è fruibile non sono dall’intellettuale preparato – continua Carolina – ma può lasciare un segno a tutti perché è tutto estremamente chiaro e privo di ambiguità, per questo ci piacerebbe fosse visto da tutte le generazioni». Ed è per questo che si auspica che il film, distribuito al cinema dall’Istituto Luce Cinecittà e poi trasmesso su Sky Arte, venga inserito in un circuito di proiezioni scolastiche.

«Penso che se mio padre fosse ancora in vita sarebbe molto perplesso dell’Italia di oggi – ha continuato – penso che esorterebbe a tenere molto in alto il valore della democrazia e a non calpestare i diritti e la libertà di espressione. Di sicuro come artista ha pagato un caro prezzo per essere stato sempre un uomo libero. È sempre stato dichiarato un regista scomodo e per questo ha avuto una vita complicata». Una vita segnata da tragedie dolorosissime, come la perdita di una figlia, che invece di abbatterlo l’hanno reso più sensibile, in grado di regalarci pellicole che hanno ispirato il cinema mondiale.