Veleno, storia di una terra malata

È tratto da una storia vera il film di Diego Olivares con Luisa Ranieri, Massimiliano Gallo e Salvatore Esposito: quando il veleno contamina l'animo e l'ambiente

Straziante. Passare dalla gioia di una gravidanza a dover lottare contro la malattia di un marito deve essere straziante. È storia dei nostri giorni, della nostra terra quella raccontata da Diego Olivares in “Veleno”, prodotto da Bronx Film, Minerva Pictures e Tunnel, nei cinema da ieri sera in 40 copie dopo una calorosa accoglienza alla settimana della critica del festival di Venezia.

Un veleno che contamina le terre in provincia di Napoli e Caserta, che ammala mente e corpo dei suoi cittadini. Proprio in questi luoghi trova terreno fertile la malavita, che aggredisce e si espande. Ma c’è chi come Cosimo (uno straordinario e commovente Massimiliano Gallo) e Rosaria (nell’interpretazione potente di Luisa Ranieri) si rifiuta di lasciare che i loro terreni diventino una discarica destinata ai rifiuti tossici. I due non si piegano alle minacce della camorra, né ai toni decisi del giovane avvocato Caradonna (Salvatore Esposito in parte, convincente) che ne fa i loro interessi, incalzato dal perfido zio (Nando Paone, una meravigliosa maschera). I due coniugi non vogliono staccarsi dalle loro radici e dalla loro terra interamente dominata da un potere mafioso che corrompe e distrugge. Ezio (Gennaro Di Colandrea), fratello di Cosimo, e sua moglie Adele (Miriam Candurro), invece, accettano, attratti da facili guadagni, di essere complici della devastazione dei loro territori. A complicare ulteriormente le cose è la grave malattia di Cosimo causata dal veleno che contamina l’acqua, i raccolti, il bestiame. Il calvario del protagonista diventa la sintesi delle piccole e grandi contraddizioni di una terra di fatto abbandonata a se stessa, dove lo Stato sembra aver definitivamente abdicato alle sue funzioni, dove l’unico potere riconoscibile e riconosciuto è rimasto solo quello criminale.

Un film vero, di cronaca, di denuncia, che fa male, empatico. Tratto da una storia vera, si legge nei titoli di testa. «È la storia di un familiare di Gaetano di Vaio (uno dei produttori, ndr) – così Diego Olivares alla presentazione stampa di ieri al Modernissimo – con il quale ho lavorato alla stesura della sceneggiatura». Lo sguardo del regista è intimo, penetra nel personaggio, ce ne fa assaggiare il dolore. «Uno sguardo dal basso». Così nelle sue note di regia.

«È stata una impresa che ci ha visti felici e partecipi di raccontare questa storia di umanità disperata che non ha più appartenenza e radici – il commento di Luisa Ranieri – Il contesto si lascia violare e corrompere con poco, parla di noi paese che non ha più attaccamento al territorio e all’ambiente. E questo porta a conseguenze su cibo e malattie. Il cuore di questo film. Rosaria è coraggio, l’attaccamento alle radici, una donna forte».

«Quello che la storia ci insegna – così Salvatore Esposito – è che la mafia che ha fatto più vittime dirigendo e governando il malaffare che con i proiettili. Una storia che risulta familiare. Il veleno penetra dell’anima del mio personaggio e gli si ritorce contro. Il popolo napoletano è l’unico che si è ribellato denunciando il male».

Sifda nella sfida per Miriam Candurro, volto familiare al grande pubblico per il suo ruolo in “Un posto al Sole”. «Raramente si riesce ad interpretare un personaggio che cambia faccia e raccontarlo anche fisicamente. Il veleno in Adele è immaginare la vita diversa e arricchirsi sulla pelle dei familiari».

Compito insolito per Nando Paone: «Mi incuriosiva cimentarmi in un cattivo, ho accettato subito l’invito. Hanno creduto nell’espressività di un volto usato per ruoli leggeri e comici. Mi è piaciuto partecipare con un ruolo minore ma di fondamentale importanza, un uomo vessatorio, padrone del nipote, che lo induce costringendolo. Rappresenta il tramite attraverso il quale il nipote si riscatta. È erba cattiva. Un piccolo malvivente, peggiore di quelli che hanno architettato».

Le musiche sono curate da Enzo Gragnaniello: «Ho cercato di interpretare la sofferenza della terra. Spiegavo al regista le mie sensazioni, un canto che viene dalla terra che avvelenata si ribella. Ci sono degli umori precisi attraverso dei suoni molto underground». “Veleno” sarà l’unico film italiano in concorso al Busan International Film Festival.