INTERVISTA – Andrea Giordana: «Il teatro è medicina miracolosa»

Sono pochissimi, si contano sulle dita di una mano, gli attori che possono permettersi di interpretare il ruolo da protagonista nello spettacolo “Le ultime Lune” di Furio Bordon. Uno di questi è senza dubbio Andrea Giordana che lo sta portando con successo in tutta Italia con la regia di Daniele Salvo, prodotto da Palcoscenico Italiano e Centro Teatrale Meridionale. E per dare una misura del peso di questa messinscena basta ricordare che è stato l’ultimo spettacolo teatrale interpretato da Marcello Mastroianni. Prossime repliche il 14 al Teatro Del Carmine di Tempio Pausania (Ot), il 15 febbraio al Teatro Comunale di San Gavino (Vs), il 16 febbraio al Teatro Centrale di Carbonia, dal 17 febbraio al 6 marzo al Compagnia di Fermo, dal 7 Al 17 marzo al Teatro Carcano di Milano.

Di cosa parla questo spettacolo?

«È una commedia della solitudine, della vecchiaia ma soprattutto una vera storia d’amore. Il protagonista ha perso la moglie a 50 anni, erano innamorati in maniera struggente. Continua a vivere evocandola e riportando a galla le emozioni che aveva vissuto con lei, non in maniera depressiva, ma vitale e viva. Bisogna accettare il lutto ed elaborarlo, non farsi prendere allo scoperto e soprattutto bisognerebbe morire da vivi e non da morti. È una commedia che per le emozioni che porta commuove e fa ridere. E poi c’è il conflitto generazionale, un rapporto difficile con il figlio, qualcosa che insegna e suggerisce che rapporto si deve avere con gli anziani, con rispetto, come una opportunità di dare amore e riscaldare ancora il cuore. Sul palco con me Galatea Ranzi e Luchino Giordana (suo figlio, ndr)».

È vero che non è facile portare i giovani a teatro?

«Il teatro di oggi non allontana ma di certo non avvicina i giovani di oggi. È un fatto di linguaggio o di tematiche. L’obiettivo è scucirli dallo smartphone e metterli in poltrona. Non so se si informano di quali spettacoli vanno in scena, c’è forse un disinteresse totale. Il pubblico è sempre più anziano e dispiace».

Cosa la spinge ad accettare un lavoro?

«Il testo, la regia e i compagni di lavoro sono fondamentale. Questo poi l’avevo visto interpretato da Mastroianni. È una fortuna ricevere la proposta di un bel personaggio nel momento giusto. A volte capita che si è troppo o poco maturi. A 72 anni mi pongo gli stessi interrogativi del protagonista, molte delle sue domande».

Dopo una carriera di grandi successi come trova ancora lo stimolo di andare in scena?

«Qualche volta mi viene ancora il groppo alla gola prima di calcare il palcoscenico, qualche volta sono più in forma qualche volta in meno, a volte devo elaborare il dolore alle ossa. Il teatro è la medicina più miracolosa che c’è.

Cosa vorrebbe fare in futuro, quale sfida?

«C’è una antica diatriba tra me e il cinema. Non c’è mai strato un grande feeling vicendevolmente, credo che avrei potuto dare qualcosa di buono anche lì, ma ho avuto tante altre cose in altri campi».

Lei vive a Roma, com’è la città vista dai suoi occhi?

«È una cosa indegna per come è trattata, è sporca, per non parlare della periferia. Io sono privilegiato perché sono in centro, ma vedo una città che vive del suo passato. Non è solo colpa di questa amministrazione ma anche dei precedenti. Il dato di fatto è che è diventata una città invivibile, mi vergono quando trovo il turista che vede l’immondizia. Ricordo quando ero ragazzo era una città ben tenuta, eravamo anche meno, quindi meno immondizia e meno problemi. I dati parlano chiaro, siamo tra le città meno vivibili d’Italia».

Ci racconta un episodio off della sua vita?

«Fui chiamato per fare il provino per un ruolo minore ne “Il conte di Montecristo”. Ero andato con l’idea di interpretare il figlio di Mercedes. Poi mi hanno messo barba, il cilindro, e venni preso per il ruolo del conte. Non ho mai capito se fu un errore o una pensata del regista. Da lì è cambiata la mia vita».