Venezia 75, la potenza emotiva di “Un giorno all’improvviso”

Il primo lungometraggio del regista napoletano Ciro D'Emilio nella sezione “Orizzonti” della 75a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia

Miglior battesimo non poteva averlo il regista napoletano Ciro D’Emilio. La sua opera prima “Un giorno all’improvviso” è nella sezione “Orizzonti” della 75a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, con ben tre candidature: miglior film, miglior regia e premio speciale. Un progetto con una lunga fase embrionale, partito con la stesura della sceneggiatura nel 2013 e con l’ultimo ciak nel mese di maggio. Una grande metafora della vita, una storia dura, di grande impatto emotivo.

Racconta di Antonio, 17enne della provincia di Napoli con il sogno di fare il calciatore. È stato abbandonato dal padre quando era piccolo, ed ora vive solo con la madre, Miriam, dolce ma stravolta da problemi mentali. Il rapporto tra i due è a ruoli invertiti, è lui a prendersi cura del genitore. Lavora nell’orto di famiglia, si allena e la sera è di turno in una pompa di benzina. Cerca di vivere la sua storia d’amore ma è troppo impegnato a casa. Un giorno irrompe nella sua vita un talent scout, Michele Astarita, che sta cercando delle giovani promesse da portare nella Primavera del Parma. Sembra il punto di svolta della loro vita, ma un giorno all’improvviso tutto può cambiare.

La pellicola è un incalzate climax, grazie anche ad un montaggio in levare, che fa entrare lo spettatore nella vicenda, grazie anche ad una ripresa intima, “sporca”. Un’opera prima matura, un film con una linea narrativa ben precisa, D’Emilio è una percepibile giuda degli attori, ha trasmesso loro tutta la potenza drammaturgica della sceneggiatura. Ci arriva dopo il fortunato cortometraggio “Piove”. «Quell’esperienza è stata una fine è un nuovo inizio – ha raccontato l’autore – il compimento di un percorso che mi ha consentito di dimostrare ad un pubblico più vasto, e a me stesso, di aver compreso quel linguaggio. Ora è incredibile essere qui, sono molto felice. È qualcosa che mi da fiducia de fatto che abbiamo fatto bene a portare avanti una idea del lavoro e progettualità. Un film che mi regala bellissime emozioni».

Emozioni restituite con grande vigore da Anna Foglietta, in un ruolo devastante, credibile nel suo dialetto (la mamma è napoletana), nel suo dolore, nel suo rapporto col figlio, meravigliosa. «Quando Ciro mi ha proposto 4 anni fa di recitare in questo film – così l’attrice – sono stata rapita dalla storia e dal personaggio. Folle non accettare. Sono entrata in contatto con il mio essere madre, qualcosa che non è stato facile ma profondamente disturbante. Alcune scene mi hanno portato sofferenza, un down psicologico ed emotivo dal quale è stato difficile uscirne». Ne parla ancora visibilmente emozionata. «La mia carriera va in una direzione ben precisa. Dopo aver interpretato a teatro “La pazza della porta accanto” di Alda Merini, tutto ambientato in manicomio, il tema della follia mi sta attraendo sempre di più. Sono da tempo in cura dallo psicoterapeuta e più mi curo è più ciò mi attrae. Penso che prendersi cura della psiche equivale come prendersi cura della società. Il ruolo dell’attore è anche di intento politico. C’è bisogno di parlarne di questi temi, il rapporto madre-figlio determina il futuro, importante dal punto di vista civile. La prima rivoluzione sta nel nucleo della famiglia».

Cuore e anima nel progetto lo hanno messo anche gli altri due protagonisti, il giovane Giampiero De Concilio, bravo nel reggere la maggior parte della pellicola, e Massimo De Matteo, perfetto nel ruolo, toccante per intensità. Completano il cast Biagio Forestieri, Lorenzo Sarcinelli, Fabio De Caro e Franco Pinelli.