Made in China napoletano, Schettino difende la città dai luoghi comuni

Schettino al suo esordio cinematografico come regista e protagonista vuole anche lanciare un messaggio sui pericoli della globalizzazione e stigmatizzare la rappresentazione di Napoli sul grande schermo

Che Simone Schettino facesse ridere è cosa nota. Ma al suo esordio cinematografico come regista e protagonista di “Made in China napoletano” vuole anche lanciare un messaggio sui pericoli della globalizzazione e stigmatizzare la rappresentazione di Napoli sul grande schermo.

Partiamo dalla trama. Vittorio (Schettino) è un giocattolaio napoletano, sommerso dai debiti e schiacciato dalla concorrenza spietata del dirimpettaio Pask Li (Yoon C. Joyce). In pochi mesi il rivale cinese gli ha sottratto numerosi clienti e ora lo sfortunato commerciante progetta di svuotare la cassaforte di Li per prendersi la rivincita. Durante il colpo però, il furfante improvvisato cade dalle scale e finisce in coma per cinque anni. Al suo risveglio la realtà è molto diversa, anche peggiore di come l’ha lasciata: a causa di una grave crisi economica, la Cina regge i fili dell’economia mondiale e ha messo al bando tutti i prodotti agro-alimentari italiani. Il colmo? Sua sorella (Tosca D’Aquino) ha sposato il suo acerrimo nemico. Il patriottico Vittorio non ci sta, reagisce al monopolio cinese e si dedica al contrabbando di babà e sfogliatelle, mozzarella di bufala e altre golosità italiane.

 «L’idea del film nasce dalla volontà di raccontare attraverso un’iperbole surreale cosa accadrebbe se a causa di una grave crisi economica il mondo fosse assoggettato a una sola potenza economica, soprattutto se di stampo socialista – spiega Schettino in conferenza ieri mattina al The Space – Ho deciso di ambientare la mia storia a Napoli perché è il territorio meno globalizzato, dove le tradizioni resistono, sono secolari. Solo da qui poteva partire una ribellione. Mi accorgo che tra gli adolescenti si sta massificando tutto, standardizzando la moda, il taglio dei capelli, vivono una vita con meno colori».

Una ribellione comica che vede una squadra sgangherata all’opera capitanata da due anziani che si esprimono solo con improbabili proverbi (esilarante la coppia Benedetto Casillo e Gino Cogliandro), un commercialista strampalato (Mimmo Ruggiero) e un amico esperto di scommesse calcistiche (Fabio Gravina). Il tutto diventa grottesco, «volutamente sopra le righe», grazie anche alle vincenti interpretazioni di una istituzione come Tommaso Bianco (nel ruolo del padre) e di uno straripante Angelo Di Gennaro (nel ruolo dello zio). Un cast ricco completato da Elisabetta Gregoraci, Rosaria D’Urso, Chen Lingyan, Maria Chiara Farina, Aigerim Asanova, Chiara Alberti e la partecipazione straordinaria di Maurizio Mattioli. «Nel fare questo film non mi sono rifatto a nessuno – chiarisce Schettino – ho evitato di fare il monologhista al cinema». E poi un affondo su come viene trattata la sua città. «Le trame che rappresentano Napoli sul grande schermo parlano solo di malavita, di storie disperate. Dicono di farlo per sensibilizzare, non è così. La città è cambiata dopo l’uscita del film il “Camorrista”? Non credo. Quindi la spiegazione è che lo fanno per business, il male fa fare business. Vorrei si tornasse a rappresentare la città come una volta».

Distribuito in circa 30 sale in maniera capillare per tutto il territorio nazionale da “Easy Cinema”, è nelle sale da ieri stasera.