Il più grande calciatore mai nato. Argentino di nascita, partenopeo di adozione. Nel 1987 regalò la gioia del primo scudetto al Napoli. “Tre volte 10” celebra Diego Armando Maradona, uomo e calciatore. Il palcoscenico scelto per lo show ideato e diretto da Alessandro Siani è il teatro più bello del mondo, il San Carlo. Un’ora e trenta di applausi, commozione, risate, ricordi. È l’“Inno alla gioia” di Beethoven suonato dai ragazzi dell’Orchestra Sanità Ensemble, 50 giovani musicisti nella buca del Massimo per tutto lo show. Un luce illumina un palchetto: è Peppe Lanzetta che racconta il ritorno di Diego in città. «Forse non se n’è mai andato». Poi il gran momento, il suo arrivo. «Giuro che mi sento come a casa, come sempre mi sono sentito, perché io non tradisco». È in gran forma Maradona, saluta così il suo pubblico dopo aver palleggiato in scena sulle note di “Life is life” degli Opus, proprio come nel riscaldamento all’Allianz Arena prima della sfida con il Bayern Monaco.
Ironizza sul prezzo del biglietto. «Il ticket costava 300 euro perché abbiamo saputo che Pelè stava facendo un’altra serata a 200 euro e lui deve arrivare sempre secondo». E poi giù in picchiata nella memoria del numero 10 a partire dalla prima maglia che vestì quando arrivo in azzurro. «Con questa addosso ho sognato. Venivo dal Barcellona e rifiutai il rinnovo del contratto anche se mi offrirono cinque volte tanto. Ma il mio cuore mi diceva di andare al Napoli, perché quella città mi stava aspettando. Perché invece dei soldi preferivo correre indietro ad una palla». Quella casacca passava sempre dalle mani del massaggiatore Carmando che si materializza sul palco ed esclama: «Dalla a me che te la lavo io».
Dal soffitto piombano le sagome di Platini e Blatter. Diego sobbalza: «Non li voglio questi due, questa è una serata felice, noi non siamo ladri». Sorride, ammicca al pubblico e fa un cenno d’intesa con il presidente De Laurentiis, presente in prima fila al fianco del sindaco de Magistris (il Governatore De Luca era nel palchetto reale).
Poi si abbassano le luci, momento magico con Gigi Savoia che lo raggiunge in punta di piedi per raccontagli Napoli com’era prima del suo arrivo. Maradona si siede sul suo trono trasparente, ascolta, si commuove. «La terra tremò nell’80 – recita Savoia – e tornò a tremare nell’84. Un lampo di gioia quel 5 luglio, con Diego la nottata sembrava passata». L’attore gli porge una scarpetta. «Era quella che indossai contro il Brasile, con questa al piede ho fatto tanti gol per il mio Napoli». Arrivano i video saluti di Del Piero, Totti, Baggio e Antonioni. Si ride con il coinvolgente Pasquale Palma che fa cantare il San Carlo al ritmo di “Ho visto Maradona”.
Ma il momento clou della serata è l’intervista intima con Gianni Minà, suo amico di sempre. Diego ha raccontato la mitica punizione contro la Juventus, mimando il tentativo di parata di Tacconi e scherza con Pepe Reina seduto in platea (presenti anche Callejon e Insigne). La chiacchierata diventa confessione a cuore aperto. «Mi sono allontanato dalla chiesa perché vedevo mia madre che vi entrava per chiedere il miracolo e all’uscita doveva fare una offerta. Quando andai la prima volta dal Papa vidi troppa ricchezza, con tutto quell’oro sfamerebbero i bambini dell’Africa. Mi sono riavvicinato al Vaticano ora che c’è un Papa argentino, mi ha colpito che Francisco ha dichiarato il Vaticano non ha bisogno di una banca». Il Pibe è sempre stato attivo politicamente, era l’unico sportivo nel 2005 presente al vertice delle Americhe, con Chavez, Fidel Castro. Lancia una stilettata a Trump. «Non ci parlo con lui, non so l’inglese». Esclama facendo le smorfie.
Il pubblico lo ama, lo inneggia ad ogni affermazione. Lui trattiene a stento le lacrime «Vorrei che questo momento lo avesse potuto vedere mia madre». Era innamorato della mamma («la cosa più grande che ho avuto»), ed orgoglioso di suo padre. «Mio padre entrava in fabbrica alle 4 del mattino poi arrivava a casa per portarmi agli allenamenti. Lo ringrazio per i sacrifici grandissimi che faceva per sfamare la sua famiglia di 7 persone».
Un contenitore di emozioni che ha visto protagonista anche lo scrittore Maurizio De Giovanni (che ha letto un brano dal suo libro “10 maggio 87”) che ha mostrato al Pibe tutti i gol dell’anno dello scudetto e le figurine Panini dell’epoca alla presenza di qualche calciatore come Andrea Carnevale e Alessandro Renica. Tocca poi al magistrato Catello Maresca (che ha fatto un parallelismo tra il suo mestiere e quello del calciatore), all’attore Salvatore Esposito (che ha fatto la formazione di Goalmorra mettendo Ciro lo scissionista prima in una squadra ed il secondo tempo in un’altra) ed ancora Lina Sastri con “Napul’è” ed il rapper Clementino con un freestyle su Diego.
Tutti sul palco e “‘O surdato ‘nammurato” a far calare il sipario. Ma non è finita qui. Diego torna in scena palleggiando con un mappamondo in tandem con Alessandro Siani e lancia due messaggi in chiusura. Il primo sportivo: «Voglio che il Napoli torni a vincere». Il secondo di cuore: «Chiedo scusa dopo 30 anni a mio figlio Diego, non ti abbandonerò mai più». Lacrime e applausi. Forza Napoli.
(L’evento prodotto da Best Live andrà in onda in primavera su NOVE)