Confusi e felici: sei personaggi in cerca di cura

Si ride (abbastanza), si riflette (quanto basta) ma Confusi e felici non è una pellicola che passerà alla storia. Non che sia nelle pretese del regista Massimiliano Bruno (per la terza volta dietro la cinepresa dopo “Nessuno mi può giudicare” e “Viva l’Italia”), sia chiaro. Si parla pur sempre di una commedia, ma quando nel cast hai Bisio, Giallini, Papaleo, qualcosa in più, forse, poteva essere fatta.

Si ride (abbastanza), si riflette (quanto basta) ma Confusi e felici non è una pellicola che passerà alla storia. Non che sia nelle pretese del regista Massimiliano Bruno (per la terza volta dietro la cinepresa dopo “Nessuno mi può giudicare” e “Viva l’Italia”), sia chiaro. Si parla pur sempre di una commedia, ma quando nel cast hai Bisio, Giallini, Papaleo, qualcosa in più, forse, poteva essere fatta.

Il tessuto è pregno di significati validi, vengono toccati i temi dell’amore, la famiglia, il lottare contro le avversità, tutto in salsa “comicarola”. Viene utilizzata la vista, quella degli occhi, come metafora della vista, quella del cuore. Facciamo ordine. Marcello (uno spento Claudio Bisio), è uno psicanalista cialtrone e cinico che, ironia della sorte, cade in depressione. Si chiude in casa ed abbandona la professione.

Questo gesto “estremo” non viene accolto bene da Silvia (una Anna Foglietta puntuale e senza fronzoli), la sua segretaria, che decide di radunare i suoi pazienti per cercare, tutti insieme, di farlo uscire dalla crisi. Un’idea bellissima se non fosse che, ad aiutare Silvia, ci saranno degli scalmanati.

In primis uno spacciatore affetto da attacchi di panico, Nazareno (Marco Giallini, naturale e convincente), un quarantenne mammome cronico, Pasquale (Massimiliano Bruno), una ninfomane decisamente invadente, Vitaliana (una Paola Minaccioni efficace), una coppia in crisi sessuale, Enrico e Betta (Pietro Sermonti, e Caterina Guzzanti, che si calano bene nei ruoli sul filo del grottesco, forti di esperienze come la serie tv “Boris”) e Michelangelo (un Rocco Papaleo che convince a metà, forse colpa del regista), telecronista in crisi per il tradimento della moglie. Strampalati ma affettuosi e divertenti, i pazienti di Marcello cercheranno in ogni modo di tirargli su il morale riuscendo a farlo aprire alla vita per diventare una persona migliore.

Come da copione di commedia ci sarà l’happy ending ma non per tutti, lasciando così un po’ di amaro in bocca. Tralasciando la fotografia, che per pellicole del genere non necessitano di Storaro, a deludere è la sceneggiatura, forse poco aiutata dal montaggio che appesantisce il fluire della storia. Narrazione quindi che appare slegata, a pezzettoni, che guizza però con piacevolissimi inserti comici. Sono proprio le battute ad essere il punto di forza del film che regala ciò nonostante 100 minuti circa di ilarità.

Ma di certo non riesce nell’intento di far riflettere che la vera cecità non è quella degli occhi ma quella del cuore. O meglio, il tema viene trattato ma arriva allo spettatore in modo stucchevole. Molto confusi e poco felici.