Antonio Di Sieno: macellaio 3.0 tra innovazione e tradizione

 

Antonio Di Sieno, in arte “Trippicella”, classe ’79, è un macellaio 3.0 capace di vedere in un taglio di carne un sapore, un piatto o un’esperienza del gusto, un professionista che cammina a braccetto con gli chef, che ne comprende le esigenze e cerca di proporre soluzioni o nuovi prodotti capaci di amplificare la loro creatività, dando risposte tecniche efficaci. Ed è per questo che nel suo laboratorio ha deciso di dare via ad un progetto “Meat innovation”, che fa leva su specializzazione e approfondimento sia nell’offerta di prodotto che nella ricettazione, cercando di abbracciare una vasta gamma di animali, trattando sia quelli meno noti come selvaggina volatile e non, che i più comuni da cortile e da allevamento.

TRADIZIONE E INNOVAZIONE. «La produzione d’eccellenza – racconta Antonio “Trippicella” – ha lo svantaggio che gran parte del prodotto venga scartato, la valorizzazione ed il recupero di tagli poco ambiti rappresentano, oltre che una responsabilità etica, un’opportunità di crescita professionale. Al tempo dei miei nonni davvero non si buttava via nulla del maiale». Ed è così che ha deciso di riprendere la coppa di testa, tramutandolo da taglio di serie B ad un piatto prelibato aggiungendovi cannella, scorzetta d’arancia, finocchietto selvatico ed un ingrediente segreto. Lo stesso dicasi per ventre e matrice di maiale all’insalata. Trippa al pomodoro con metodo classico (scottata in padella con un pizzico di peperoncino e pomodorino del piennolo del Vesuvio), zuppa di soffritto (due giorni di lavoro, interiora lavate bene e a bagno in acqua e sale per una notte intera, poi si mette a bollire per 3/4 ore poi si taglia a pezzettini. Si fa soffriggere nello strutto di maiale per 1h e mezza, poi si aggiunge il concentrato di peperoncini dolci e piccanti, infine un’altra ora nella salsa).

ALLA RICERCA DELL’HAMBURGER PERFETTO. La ricetta per un hamburger sembra facile. Pochi ingredienti come carne, verdura e pane, et voilà. In realtà è tutto molto complesso da realizzare, in quanto devono essere soddisfatte alcune caratteristiche: non restringersi in cottura, mantenere un buon livello di liquidi, rimanere compatti durante la cottura. Per far sì che questo avvenga le ricette sono composte da blend di carni differenti. Il tutto senza dimenticare l’efficacia sotto al palato. “Trippicella” in merito ha combinato tecnica e creatività per realizzare sapori interessanti. I primi tre medaglioni sono composti da cervo (carne molto magra e speziata) e lardo di Mangalica (delicato e speziato), da capriolo (gusto forte) e grasso di Patanegra (robusto), da cinghiale (molto strutturato e corposo) con lardo di maialino beneventano.

GLI ESPERIMENTI. «È nostro desiderio – spiega il macellaio – incontrare nuovi professionisti del settore, sperimentare strade non troppo battute e capaci di fondere le diverse esperienze. Nell’ottica del laboratorio cerchiamo di spingere la ricerca fino a dove riusciamo a portarla, proponendo sempre un approccio consapevole al mondo delle carni». Ed ecco che nascono gli spiedini con quattro bocconcini di salsiccia: maiale nero casertano con provola di bufala e frijarielli; maiale nero calabrese con peperoncino piccante con nduja e finocchietto selvatico; cinta senese con tartufo nero di Norcia e pecorino toscano, ubriaco con rosso di Montalcino; maiale nero di Nebrodi ubriaco al Sant’Agostino di Fisiato.

LA STORIA. La storia di Trippicella inizia alla fine degli anni ‘30, a Pollena Trocchia, un paesino a 15 chilometri da Napoli. Antonietta e zia Mariuccia sono state le matriarche. Macellavano e vendevano le carni che producevano in autonomia, fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale. Con Antonio figlio di Antonietta è nato anche il soprannome “Trippicella”, la trippa e le frattaglie sono state alimenti fondamentali nel dopoguerra, da qui il nome. Negli anni ’60 con Enzo, il figlio di Antonio, inizia la terza generazione di Trippicella. Questi insegna al figlio Antonio a lavorare la carne, a trattarla con rispetto, ed a capire il cliente. Antonio però è un ribelle, e non si accontenta di seguire solo gli insegnamenti del padre, inizia così a cercare la sua strada. Ad Antonio piace la carne saporita, quella che diventa esperienza per il palato. Un pizzico di megalomania lo fanno un uomo alla ricerca dell’eccellenza, così approfondisce la professione del macellaio, incontrando quelli più bravi, cercando le tecniche più raffinate perché come dice sempre la carne non è necessaria, per questo deve essere sublime.

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