Venezia 78, “Ariaferma” da Concorso

Set del film "Dall'interno" di Leonardo Di Costanzo. Nella foto Leonardo Di Costanzo e Toni Servillo. Foto di Gianni Fiorito Questa fotografia è solo per uso editoriale, il diritto d'autore è della società cinematografica e del fotografo assegnato dalla società di produzione del film e può essere riprodotto solo da pubblicazioni in concomitanza con la promozione del film. E’ obbligatoria la menzione dell’autore- fotografo: Gianni Fiorito.Set of "Dall'interno" by Leonardo Di Costanzo. in the picture Leonardo Di Costanzo and Toni Servillo. Photo by Gianni Fiorito This photograph is for editorial use only, the copyright is of the film company and the photographer assigned by the film production company and can only be reproduced by publications in conjunction with the promotion of the film. The mention of the author-photographer is mandatory: Gianni Fiorito.

Forse chiedere tre film “napoletani” in Concorso sarebbe stato troppo. Eppure “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo aveva le carte giuste per la selezione principale della 78esima Mostra del Cinema di Venezia. Perché racconta l’attualità delle carceri, della reclusione che tutti noi abbiamo vissuto in tempo di pandemia. Perché è metafora dell’assurdità della vita. Perché come protagonisti ha il Maradona e il Pelè del cinema nostrano, Toni Servillo e Silvio Orlando. Ad ogni modo il terzo film del regista ischitano è stato presentato Fuori Concorso e sarà nei cinema dal 14 ottobre con Vision Distribution.

Dopo tanti documentari Di Costanzo ha scelto il linguaggio di finzione per poter raccontare l’interiorità anziché le azioni: «Ho potuto beneficiare della ricchezza di riflessioni di chi sorveglia e chi è sorvegliato». La storia è ambientata interamente in un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano. È in dismissione, le celle sono fatiscenti, all’esterno crescono le erbacce. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. In un’atmosfera sospesa, le regole di separazione si allentano e tra gli uomini rimasti si intravedono nuove forme di relazioni. Toccherà a l’ispettore Gaetano Gargiulo (Toni Servillo) e il detenuto Carmine Lagioia (Silvio Orlando) trovare un nuovo equilibrio.

«È la prima volta che lavoro con degli attori professionisti – ha esordito Di Costanzo – per me è stato un grande onore lavorare con loro. Il grande problema è stato quello di preoccuparmi delle indicazioni da dare a loro. Abbiamo parlato tanto, è stato bellissimo, una esperienza entusiasmante, li ringrazio di avermi dato fiducia». Quando Orlando ha letto la sceneggiatura si è immaginato guardia «poi il salto mortale, un altro ruolo. La recitazione è arte della memoria, è lontano da me un ergastolano, quindi il panico c’è stato. Bisogna rischiare nel nostro lavoro e bisogna affrontarlo. Se ad esempio avessi dovuto considerare la mia attitudine bonaria mi sarei tirato indietro da questo ruolo». Per Servillo il suo personaggio «è affascinante, una persona di decorosissima bontà, che s’impegna a evitare la catena della violenza in carcere da servitore dello Stato qual è. Vive il conflitto tra l’esercizio della responsabilità e l’esercizio della pietà, della compassione».

Tutto si svolge in un tempo pressoché fermo. «Il tempo è lo stesso strazio per secondino e carcerato, una custodia a non fare niente, sicché possono impazzire gli uni e gli altri» aggiunge Servillo. «Lo spreco di tempo è la cosa peggiore che possa capitare a un essere umano. C’è una ritualità che se interrotta crea terremoto, vedi il rancio nel film. La catastrofe, il punto di rottura è risolta in maniera diversa dal cliché carcerario, ovvero la repressione, la suddivisione in buoni e cattivi. Non succede nulla qui, ma si crea la vibrazione dell’attesa», così Orlando.

 

Pochi dialoghi tra i due, tanto il tempo trascorso insieme, a volte spalla spalla, a volte in una inversione di ruoli. «Non credevo di poter esprimere un senso di minaccia, una paura senza parlare: mi sono sorpreso» ha spiegato Silvio Orlando che per prepararsi si è fatto raccontare dagli altri attori, come il comprimario Salvatore Striano, che hanno avuto la sfortuna di provarla l’esperienza del carcere. «Non è immaginabile il senso di costrizione e sadismo dello stare in cella».

«Il carcere è la soluzione che la società si dà per chiedere risarcimento a chi ha commesso colpe, delitti: non ne sapevo nulla, ho avuto la necessità di indagare molto la realtà, ovvero incontrare persone che in carcere hanno vissuto, da una parte e dall’altra dei cancelli. “Ariaferma” veicola riflessioni sulla condizione umana, la punizione, il bene e il male, più che sul sistema penitenziario». Spiega Di Costanzo che poi si lascia ad una riflessione: «I fatti di Santa Maria Capua Vetere, dello stesso San Sebastiano a Sassari anni addietro, le violenze succedono, ma è quasi naturale finché il carcere rimane così: vanno immaginate altre forme di punizione e risarcimento. E non riguarda solo il Ministero di Giustizia, ma tutti noi».

Completano il cast un convincente Fabrizio Ferracane (già Nastro d’argento per “Il Traditore” di Marco Bellocchio), lo stesso Striano, e volti nuovi, scoperti dal regista e formati in mesi di prove e laboratori come il giovane Pietro Giuliano. In conclusione, la riflessione che matura nello spettatore è, come già detto, sull’assurdità della vita, delle scelte che ci si trova a dover fare durante il proprio percorso e le sue conseguenze. Ed ecco che in questa storia il figlio di un lattaio rigando dritto capita a fare la guardia, mentre quello di un ristoratore si trova dietro le sbarre.

(articolo pubblicato sul quotidiano Roma del 6 settembre)